antropologia criminale
Gli zingari e il carnet anthropometrique
L’articolo descrive come, tra fine Ottocento e inizio Novecento, gli zingari fossero considerati da alcuni studiosi e magistrati come individui intrinsecamente criminali, oziosi e pericolosi. Questo pregiudizio, basato su teorie positiviste e su studi come quello di Hans Gross, portò all’idea di schedare i nomadi tramite il carnet anthropometrique, come avvenne in Francia, con l’intento di inserirne le caratteristiche antropometriche in una classificazione pseudo-scientifica. In Italia, il giudice Alfredo Capobianco ne legittimò l’utilizzo proponendo di espellerli o, quantomeno, di schedarli. Questi preconcetti, sopravvissuti sino agli anni Cinquanta, consolidarono il radicato senso di diffidenza e giustificarono norme repressive contro la mendicità e il vagabondaggio dei nomadi.
Gli zingari negli studi di Cesare Lombroso, Napoleone Colajanni e Hans Gross.
L’articolo analizza come gli zingari furono studiati da alcuni pensatori dell’antropologia criminale dell’Ottocento e del primo Novecento. Da un lato, Cesare Lombroso li considerava un archetipo del “delinquente antropologico”, legittimando provvedimenti repressivi su base pseudoscientifica; dall’altro, Napoleone Colajanni contestava tale visione, negando la natura criminale innata degli zingari. Inoltre, l’approccio di Hans Gross nei manuali di polizia giudiziaria mostrava come il pregiudizio influenzasse anche l’azione delle autorità. L’insieme di queste posizioni evidenzia una tensione tra pseudoscienza razziale e tentativi di comprensione più oggettiva di questo popolo.