Saggi
Gli zingari a Roma tra gli anni Settanta e Novanta
Il testo analizza la condizione degli zingari a Roma tra gli anni Settanta e Novanta, evidenziando come l’attenzione dell’associazionismo e della Chiesa non abbia impedito episodi di intolleranza e sgomberi forzati. Le politiche messe in atto dall’amministrazione locale e dalle Forze dell’ordine erano spesso mirate all’ordine pubblico, senza affrontare la questione da un punto di vista sociale. L’arrivo di nuovi immigrati di origine rom dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia complicò ulteriormente la situazione, rendendo il dibattito politico più teso e generando interventi frammentari, contraddittori e privi di una visione strategica a lungo termine.
Il tentativo di integrazione degli zingari a Roma in epoca contemporanea
Nel secondo dopoguerra gli zingari a Roma vivono una condizione di profonda emarginazione, sia abitativa che amministrativa, subendo il rifiuto dell’iscrizione anagrafica e l’esclusione dai servizi sanitari, dall’alloggio e dal lavoro. Contemporaneamente in Europa si diffonde una nuova consapevolezza dei diritti della persona e delle minoranze. Questo clima porta alla nascita dell’Opera Nomadi, che si occupa di tutela dei diritti degli zingari, e a riflessioni sull’istruzione, l’educazione sanitaria e l’integrazione nel tessuto sociale delle popolazioni nomadi. Tuttavia, resistono ostacoli burocratici, diffidenza nelle scuole e la percezione degli zingari come problema di ordine pubblico.
Gli zingari a Roma durante il fascismo e la II Guerra mondiale.
Durante il fascismo e la II Guerra mondiale gli zingari a Roma furono oggetto di discriminazioni ed esclusioni. Non vennero loro assegnate case popolari né fu consentito l’inserimento nelle “borgate ufficiali”. Leggi contro l’urbanesimo, contro la mendicità e l’introduzione dell’internamento in campi di concentramento aggravarono ulteriormente la loro condizione. Pur non essendo esplicitamente menzionati dalle leggi razziali del 1938, gli zingari furono vittime di persecuzioni culminate nel genocidio nei lager tedeschi.
Gli zingari e il carnet anthropometrique
L’articolo descrive come, tra fine Ottocento e inizio Novecento, gli zingari fossero considerati da alcuni studiosi e magistrati come individui intrinsecamente criminali, oziosi e pericolosi. Questo pregiudizio, basato su teorie positiviste e su studi come quello di Hans Gross, portò all’idea di schedare i nomadi tramite il carnet anthropometrique, come avvenne in Francia, con l’intento di inserirne le caratteristiche antropometriche in una classificazione pseudo-scientifica. In Italia, il giudice Alfredo Capobianco ne legittimò l’utilizzo proponendo di espellerli o, quantomeno, di schedarli. Questi preconcetti, sopravvissuti sino agli anni Cinquanta, consolidarono il radicato senso di diffidenza e giustificarono norme repressive contro la mendicità e il vagabondaggio dei nomadi.
Gli zingari negli studi di Cesare Lombroso, Napoleone Colajanni e Hans Gross.
L’articolo analizza come gli zingari furono studiati da alcuni pensatori dell’antropologia criminale dell’Ottocento e del primo Novecento. Da un lato, Cesare Lombroso li considerava un archetipo del “delinquente antropologico”, legittimando provvedimenti repressivi su base pseudoscientifica; dall’altro, Napoleone Colajanni contestava tale visione, negando la natura criminale innata degli zingari. Inoltre, l’approccio di Hans Gross nei manuali di polizia giudiziaria mostrava come il pregiudizio influenzasse anche l’azione delle autorità. L’insieme di queste posizioni evidenzia una tensione tra pseudoscienza razziale e tentativi di comprensione più oggettiva di questo popolo.
La sedentarizzazione degli zingari a Roma
L’articolo di Benedetto Coccia analizza la progressiva sedentarizzazione degli zingari a Roma, evidenziando come, a differenza degli ebrei costretti nel Ghetto, la loro presenza in città si sia consolidata in maniera spontanea già dal XVI secolo nella zona dell’attuale via degli Zingari. Con la crescita urbana seguita alla presa di Roma (1870), sorsero insediamenti precari di baracche dove gli zingari trovarono rifugio dopo esser stati costretti a spostarsi per i cambiamenti urbanistici. Il saggio antropologico di Adriano Colucci del 1889 offre un’immagine più articolata e comprensiva della cultura zingara, in contrasto con le precedenti visioni stereotipate.
Il “Quartiere degli zingari” a Roma: il Rione Monti
L’articolo ripercorre la storica presenza degli zingari a Roma, focalizzandosi sul Rione Monti, tradizionalmente noto come “quartiere degli zingari”. Attraverso un’analisi delle fonti d’archivio, come i Libri Status Animarum, si evidenziano le tre fasi del rapporto con le autorità (accoglienza, repressione, assimilazione forzata) e il progressivo passaggio da una vita nomade ad una stanziale, concentrata nell’area del Rione Monti. Con il mutamento urbano seguito all’Unità d’Italia nel 1870, l’assetto sociale e territoriale cambiò radicalmente, influenzando anche la distribuzione e le attività degli zingari, che esercitavano mestieri artigianali e commerciali in quella zona.
Gli zingari nell’arte
L’articolo analizza la presenza e la rappresentazione degli zingari nell’arte europea, a partire dal loro arrivo nel Quattrocento e dall’impatto che ebbero sull’ordine pubblico. Esamina il tentativo della società, in particolare a Roma a partire dal Cinquecento, di assimilare queste comunità e di elaborare progetti pastorali, come quello del gesuita Francesco Brancaccio. Evidenzia quindi l’influenza che la figura dello zingaro ha esercitato su pittori, scrittori, musicisti e poeti (da Goethe a Puškin, da Donizetti a Verdi e Bizet), oltre che sulle “zingaresche”, forme poetico-musicali di origine provenzale. Infine, cita la celebre acquaforte di Bartolomeo Pinelli “ritrovo delle zingare” come esempio di testimonianza iconografica a Roma.
Gli zingari a Roma tra Settecento e Ottocento
Tra il Settecento e l’Ottocento, Roma era meta di giovani aristocratici, artisti e intellettuali europei in viaggio, i cui racconti mostrano una città caratterizzata da un’amministrazione arretrata e una diffusa povertà. Nonostante la severità contro i falsi mendicanti, lo Stato pontificio offriva un’ampia rete assistenziale ai bisognosi. In tale contesto, la legislazione nei confronti degli zingari risultava più mite rispetto ad altri Stati europei, pur mantenendo un controllo attento e riservando tolleranza solo a chi non poteva effettivamente sostenersi da solo.
Le prime definizioni “scientifiche” degli zingari
Tra il Settecento e l’Ottocento nasce una nuova prospettiva di studio sulle popolazioni zingare, definita in seguito come “zingarologia” o “ziganologia”. L’etnologia, intesa inizialmente come storia del progresso civile dei popoli, diventa un campo interessato alla comprensione delle origini, della lingua e delle caratteristiche morali e fisiche degli zingari. I primi trattati e dizionari – tra cui l’opera di Francesco Predari del 1841 e le definizioni presentate dall’Encyclopèdie di Diderot e d’Alembert e dal Vocabolario degli Accademici della Crusca (1738) – mostrano percezioni contraddittorie, spesso negative, incentrate sulle presunte pratiche magiche e divinatorie di queste popolazioni. Soltanto con il “Vocabolario universale della lingua italiana” di Francesco Trinchera del 1859 si assiste a uno scostamento rispetto alle precedenti definizioni, fornendo una visione meno gravata dai pregiudizi religiosi e morali.