lunedì, Ottobre 27 2025
Illustrazione storica del 1914 in Italia che rappresenta la schedatura antropometrica degli zingari, con un giudice e una famiglia Rom osservata in modo clinico in un ufficio positivista.

Gli zingari e il carnet anthropometrique

Benedetto Coccia

L’articolo descrive come, tra fine Ottocento e inizio Novecento, gli zingari fossero considerati da alcuni studiosi e magistrati come individui intrinsecamente criminali, oziosi e pericolosi. Questo pregiudizio, basato su teorie positiviste e su studi come quello di Hans Gross, portò all’idea di schedare i nomadi tramite il carnet anthropometrique, come avvenne in Francia, con l’intento di inserirne le caratteristiche antropometriche in una classificazione pseudo-scientifica. In Italia, il giudice Alfredo Capobianco ne legittimò l’utilizzo proponendo di espellerli o, quantomeno, di schedarli. Questi preconcetti, sopravvissuti sino agli anni Cinquanta, consolidarono il radicato senso di diffidenza e giustificarono norme repressive contro la mendicità e il vagabondaggio dei nomadi.

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Immagine che illustra gli studi antropologici di Cesare Lombroso, Napoleone Colajanni e Hans Gross sul popolo Rom nel contesto dell'Italia di fine Ottocento, con un'ambientazione accademica dell'epoca.

Gli zingari negli studi di Cesare Lombroso, Napoleone Colajanni e Hans Gross.

Benedetto Coccia

L’articolo analizza come gli zingari furono studiati da alcuni pensatori dell’antropologia criminale dell’Ottocento e del primo Novecento. Da un lato, Cesare Lombroso li considerava un archetipo del “delinquente antropologico”, legittimando provvedimenti repressivi su base pseudoscientifica; dall’altro, Napoleone Colajanni contestava tale visione, negando la natura criminale innata degli zingari. Inoltre, l’approccio di Hans Gross nei manuali di polizia giudiziaria mostrava come il pregiudizio influenzasse anche l’azione delle autorità. L’insieme di queste posizioni evidenzia una tensione tra pseudoscienza razziale e tentativi di comprensione più oggettiva di questo popolo.

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Rappresentazione storica della sedentarizzazione degli zingari a Roma nel XVI secolo, con accampamenti e abitazioni vicino all'Acquedotto Felice e Porta Portese, mescolando tradizione e urbanizzazione.

La sedentarizzazione degli zingari a Roma

Benedetto Coccia

L’articolo di Benedetto Coccia analizza la progressiva sedentarizzazione degli zingari a Roma, evidenziando come, a differenza degli ebrei costretti nel Ghetto, la loro presenza in città si sia consolidata in maniera spontanea già dal XVI secolo nella zona dell’attuale via degli Zingari. Con la crescita urbana seguita alla presa di Roma (1870), sorsero insediamenti precari di baracche dove gli zingari trovarono rifugio dopo esser stati costretti a spostarsi per i cambiamenti urbanistici. Il saggio antropologico di Adriano Colucci del 1889 offre un’immagine più articolata e comprensiva della cultura zingara, in contrasto con le precedenti visioni stereotipate.

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Scena storica ambientata a Roma tra il Settecento e l’Ottocento, con un gruppo di zingari in abiti tradizionali che interagiscono in una vivace piazza accanto a iconici edifici romani come il Colosseo e la Basilica di San Pietro. L’immagine mostra la convivenza culturale tra zingari, popolani e clero durante l’epoca papale, con dettagli come carretti, venditori ambulanti e architettura barocca.

Gli zingari a Roma tra Settecento e Ottocento

Benedetto Coccia

Tra il Settecento e l’Ottocento, Roma era meta di giovani aristocratici, artisti e intellettuali europei in viaggio, i cui racconti mostrano una città caratterizzata da un’amministrazione arretrata e una diffusa povertà. Nonostante la severità contro i falsi mendicanti, lo Stato pontificio offriva un’ampia rete assistenziale ai bisognosi. In tale contesto, la legislazione nei confronti degli zingari risultava più mite rispetto ad altri Stati europei, pur mantenendo un controllo attento e riservando tolleranza solo a chi non poteva effettivamente sostenersi da solo.

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Studioso ottocentesco italiano che analizza i testi sugli zingari, con in primo piano una rappresentazione vivida di individui Rom intorno a un falò.

Le prime definizioni “scientifiche” degli zingari

Benedetto Coccia

Tra il Settecento e l’Ottocento nasce una nuova prospettiva di studio sulle popolazioni zingare, definita in seguito come “zingarologia” o “ziganologia”. L’etnologia, intesa inizialmente come storia del progresso civile dei popoli, diventa un campo interessato alla comprensione delle origini, della lingua e delle caratteristiche morali e fisiche degli zingari. I primi trattati e dizionari – tra cui l’opera di Francesco Predari del 1841 e le definizioni presentate dall’Encyclopèdie di Diderot e d’Alembert e dal Vocabolario degli Accademici della Crusca (1738) – mostrano percezioni contraddittorie, spesso negative, incentrate sulle presunte pratiche magiche e divinatorie di queste popolazioni. Soltanto con il “Vocabolario universale della lingua italiana” di Francesco Trinchera del 1859 si assiste a uno scostamento rispetto alle precedenti definizioni, fornendo una visione meno gravata dai pregiudizi religiosi e morali.

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Un libro antico con iscrizioni dorate circondato da pagine fluttuanti con simboli Romani, come tessuti colorati e una ruota di carro, contro uno sfondo crepuscolare italiano.

Le popolazioni gitane alla luce degli studi di “ziganologia” dell’Ottocento

Benedetto Coccia

L’articolo ripercorre le politiche di assimilazione forzata messe in atto dalla Chiesa verso le popolazioni zingare tra XVI e XVII secolo, evidenziando come queste abbiano portato all’elaborazione di studi specifici su tali comunità. Nel Settecento e nell’Ottocento, con la nascita della “ziganologia”, si sviluppano ricerche etnologiche e linguistiche che ne svelano l’origine indiana e ne analizzano costumi, lingua e tradizioni, superando gli stereotipi precedenti.

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Una famiglia rom in abiti tradizionali del XVII secolo davanti a una chiesa barocca italiana, con il simbolo della famiglia Barberini visibile sulla facciata. Alcuni membri si dirigono verso la chiesa, illuminati da un raggio di luce, mentre altri si allontanano nell'ombra, simbolo della divisione culturale e religiosa.

Luci e ombre dell’editto Barberini sull’assimilazione forzata degli zingari.

Benedetto Coccia

L’articolo analizza gli effetti dell’editto emanato dal Cardinale Francesco Barberini nel 1631, che trasformò la questione della presenza degli zingari nello Stato della Chiesa da problema di ordine pubblico a questione pastorale. Viene evidenziata l’intenzione di favorirne l’assimilazione attraverso iniziative missionarie simili a quelle già attuate per altre minoranze religiose. Tuttavia, non tutti i progetti ebbero successo, e i documenti processuali mostrano la resistenza di gruppi nomadi, in contrasto con i nuclei familiari urbani più inclini alla sedentarizzazione. Questa tensione tra nomadismo e sedentarietà, emersa già nel XVII secolo, caratterizza la complessità dell’integrazione degli zingari a Roma, un tema ancora rilevante oggi.

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Illustrazione storica di una famiglia rom in Italia del XVII secolo, circondata da figure religiose e ufficiali, con uno sfondo minimalista che richiama un paesaggio urbano rinascimentale italiano.

Dal rifiuto all’assimilazione forzata: gli zingari in Italia nel 1600.

Benedetto Coccia

Nel contesto dell’Italia del XVI e XVII secolo, le politiche nei confronti degli zingari mutarono radicalmente: dalle rigide disposizioni emesse da Papa Pio V nel 1566, che imponevano il divieto assoluto di ingresso e soggiorno e severe pene corporali, si passò gradualmente a una strategia di assimilazione forzata. Quest’ultima, sancita in modo definitivo dall’editto del 1631 del Cardinale Francesco Barberini, mirava a integrare gli zingari nella società cristiana, incoraggiandone l’abbandono dei costumi nomadi e l’assunzione di un “bene vivere” conforme ai dettami religiosi e sociali del tempo.

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Ritratto di una famiglia rom nel XV secolo in Italia, con abiti tradizionali dettagliati, caratterizzati da motivi vivaci, tessuti a strati e influenze locali italiane. Sfondo minimalista con villaggio medievale e colline.

La presenza degli zingari in Italia tra 1400 e 1500

Benedetto Coccia

Nel XV secolo gli zingari giunsero in Italia presentandosi come pellegrini sedentari costretti a vagabondare. Inizialmente accolti con benevolenza, suscitarono progressivamente sospetti a causa di frodi, abusi e pratiche magiche, tanto che le autorità civili ed ecclesiastiche introdussero provvedimenti sempre più severi. Dal Legato pontificio a Bologna fino al Governatore di Roma nel 1552, la percezione della presenza zingara passò da ospitalità caritatevole a sorveglianza e repressione, sancendo il legame tra nomadismo e delinquenza.

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Illustrazione minimalista con due mani di tonalità di pelle diverse che si stringono in segno di solidarietà, circondate da motivi astratti colorati che rappresentano la diversità culturale in Italia, su uno sfondo neutro.

Le prime tracce della presenza degli zingari in Italia

Benedetto Coccia

L’articolo esamina la presenza degli zingari in Italia a partire dai primi decenni del Quattrocento, identificando tre fasi storiche: iniziale benevolenza e comprensione da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche, una successiva reazione repressiva fino all’inizio del Seicento, e infine nel XVII secolo un tentativo di assimilazione forzata. La prima apparizione degli zingari avvenne nello Stato della Chiesa, dove si presentavano come pellegrini penitenziali diretti a Roma, muniti di presunti salvacondotti reali e papali.

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