venerdì, Aprile 26 2024

Quest’inverno ho passato qualche giorno al Terminillo. Amo questa montagna, ci vado da sempre ed è di quel luogo che ho i miei ricordi più piacevoli: i ricordi della mia fanciullezza.

La settimana prima di partire con la famiglia, siamo andati a fare un sopralluogo e a portare su qualche coperta che altrimenti, con figli e bagagli, non avremmo avuto abbastanza spazio.

Il tempo era splendido, la neve tantissima e c’era ancora il divieto di spostamento tra le regioni. Per tutte queste ragioni il Terminillo era affollatissimo! Era intasata addirittura la salita, già a pian de Rosce.

In macchina eravamo mia moglie Claudia, mia figlia Gaia Maria ed io. A un certo punto, devastata dalla lentezza della carovana Claudia, sapendo che adoro camminare in montagna, mi propone di scendere e di proseguire a piedi. Loro sarebbero salite in macchina e ci saremmo rincontrati a casa. Lì per lì ho nicchiato perché mi pareva brutto lasciarle sole, ma non c’è voluto poi molto per convincermi!

Passato il quarto tornante scendo, prendo bastone, sempre in macchina e – ovviamente – l’R6! Sapevo che avrei fatto foto di paesaggio, quindi ho montato quasi subito il 16-35. Adoro questo obiettivo, infatti ha la caratteristica di esaltare le prospettive e conferire un affascinante dinamismo alle immagini. Certo per il ritratto non va bene, infatti distorce le figure ai bordi, quindi se si usa per dei ritratti bisogna sempre avere l’accortezza di tenere la modella al centro dell’inquadratura. Ma questa è un’altra storia!

Beh, al Terminillo c’è un bosco di abeti che fu piantato nella seconda metà degli anni sessanta, mia madre ama ricordarmi che quegli alberi hanno la mia stessa età. Il sentiero che sale dal quarto tornante della ss 4 bis del Terminillo ci passa in mezzo. Ora, quest’anno è stato un inverno piuttosto impegnativo per la vegetazione montana, infatti era molto tempo che non si vedeva tanta neve, tanto da incurvare pericolosamente la maggior parte degli alberi e di spezzarne molti. Quindi nessuna meraviglia che anche quel bosco, piantato più di mezzo secolo fa, fosse gremito di rami spezzati, piccoli e grandi.

Quella devastazione però, in realtà, risaliva al qualche anno prima. Nel 2018 infatti, forse con l’intento di far respirare il terreno, il bosco di abeti a me tanto caro, era stato energicamente sfoltito. Peccato che i forti venti invernali, l’inverno seguente, abbiano abbattuto molti abeti. Un disastro annunciato dissero poi alcuni. Infatti gli abeti, quando tira vento, si appoggiano gli uni gli altri proteggendosi reciprocamente, con il risultato che i danni alla collettività sono piuttosto ridotti.

Questa volta però non c’erano abbastanza alberi per attivare questa difesa e il risultato è stato catastrofico: tantissimi abeti abbattuti.

Lo scatto che vi propongo riprende proprio questa devastazione, con un’inquadratura dal basso esaltata dal grandangolo alla minima focale che ha come protagonista un tronco, in primo piano, in una radura ottenuta con il recente disboscamento.

Ho convertito la foto in bianco e nero, esaltando il contrasto per valorizzare la drammaticità del paesaggio e delle emozioni che ha suscitato in me questa scena.

Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensi, ti va di scriverlo nei commenti o di mandarmi una mail?

Dettagli dello scatto:

  • Camera: Canon EOS R6
  • Impostazioni: 1/250 sec a f/7,1 ISO 100
  • Obiettivo: Canon EF 16-35mm f/2.8L III USM a 16mm
  • Data di scatto: 21 febbraio 2021 ore 14.10
  • Foto di Gian Luca Pallai

 

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