sabato, Ottobre 4 2025

Abbiamo visto quanto scompiglio e quante difficoltà di ordine pubblico gli zingari hanno creato fin dal loro apparire nella seconda decade del Quattrocento nelle città e negli Stati. Ci siamo soffermati, in particolare, sulle reazioni sorte dalla loro presenza nella città di Roma, reazioni, l’abbiamo detto, non solo improntate alla repressione ma anche, soprattutto a partire dalla seconda metà del Cinquecento, ad un tentativo in assimilazione (per quanto forzata) di queste popolazioni. Tentativo che diede, comunque, origine ad alcuni progetti di pastorale a loro dedicati, alcuni di pregevole valenza spirituale, tra gli altri, quello messo in atto dal gesuita Francesco Brancaccio a Napoli. Ma oltre a creare perplessità di vario ordine, la realtà gitana ha ispirato la sensibilità degli artisti, esercitando su questi una sorta di fascinazione che ha dato vita a opere pittoriche, letterarie e musicali. Gli zingari protagonisti sembrano appartenere ancora alle maschere della commedia dell’arte, e mantengono un cliché stabile: il loro inserimento in lavori di vario genere dona un tocco di esotismo che nel teatro e nel melodramma contribuiva al successo dell’opera. Opere artistiche che rappresentavano e davano corpo a elementi persistenti nell’immaginario collettivo europeo. Si spazia dalla letteratura alla pittura, dalla musica alla poesia. Goethe, Puškin, Hugo, Donizzetti, Verdi, Bizet, il Lissandrino: questi solo alcuni degli artisti che trassero ispirazione dalla vita delle comunità gitane. Discorso a parte meritano le “zingaresche” e cioè quelle composizioni con uno schema metrico tipico, derivante dal sinvertese, di origine provenzale, e caratterizzate dalla presenza del personaggio della zingara. Volendo cercare “tracce di zingari” presenti più specificatamente a Roma nelle opere artistiche, occorre necessariamente citare la splendida acquaforte di Bartolomeo Pinelli “ritrovo delle zingare”, raffigurante due zingare intente a leggere la mano a due giovani presso la Rupe Tarpea.

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