domenica, Febbraio 9 2025

Abbiamo già avuto modo di dire che “le città ci parlano, ci raccontano la loro e la nostra storia, basta saperle interrogare o semplicemente ascoltare”. Ci riferivamo ai toponimi, i nomi delle strade delle piazze, dei luoghi e dei rioni. Quei nomi che, il più delle volte, anche agli stessi abitanti delle città dicono poco o niente e che invece, se correttamente interpellati, possono raccontare tanto delle nostre città. Ma a Roma c’è di più. A ridosso di Piazza Barberini c’è il “Palazzo parlante”, chiamato così per le numerose iscrizioni che affollano le sue facciate. Oltre alla “firma” dell’architetto che lo ha immaginato e realizzato “Gino Coppedè architetto MCMXXVII” il Palazzo ospita molteplici motti e iscrizioni tra le quali di una in particolare parleremo.

Ma prima di svelarla, qualche cenno sul palazzo. Ci troviamo all’inizio di Via Vittorio Veneto, quasi all’angolo con Piazza Barberini. Siamo nel Quartiere Ludovisi le cui vie sono, in gran parte, intitolate alle regioni italiane e così Via Veneto. Nel 1919, per commemorare la battaglia di Vittori Veneto del 1918, la Via prese il nome di Via Vittorio Veneto. All’inizio di questa celebre via, al civico 7 si trova il nostro “Palazzo Parlante”. Costruito nel 1927 è particolarmente interessante per le numerose iscrizioni che reca sulle facciate. L’autore è l’architetto Gino Coppedè, noto anche per il caratteristico omonimo “quartiere Coppedè” a ridosso di Via tagliamento. Tra le altre, l’iscrizione che ha attirato la nostra attenzione è “ROMA LENTA QUIA AETERNA”. Il senso è chiaro. La proverbiale lentezza dell’Urbe non è dovuta alla proverbiale indolenza dei suoi abitanti ma alla sua eternità. Ciò che in altre città appare come urgente o immediato a Roma acquista entra in una dimensione temporale tutta peculiare, quella dell’eternità. A Roma nulla è urgente, nulla va fatto di fretta o con sollecitudine, il metro di misura non è il tempo ordinario, è l’etrnità..

Quando Gino Coppedè immaginò questo palazzo e le sue iscrizioni non poteva sapere che proprio ai suoi piedi sarebbe stata posta una fermata degli autobus. E così, per uno scherzo del destino, durante le lunghe, interminabili attese di un mezzo pubblico, il malcapitato utente può alzare lo sguardo e, sconsolato, prendere atto che Roma lenta quia eterna…

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