lunedì, Dicembre 8 2025
Un libro antico con iscrizioni dorate circondato da pagine fluttuanti con simboli Romani, come tessuti colorati e una ruota di carro, contro uno sfondo crepuscolare italiano.

Le popolazioni gitane alla luce degli studi di “ziganologia” dell’Ottocento

Benedetto Coccia

L’articolo ripercorre le politiche di assimilazione forzata messe in atto dalla Chiesa verso le popolazioni zingare tra XVI e XVII secolo, evidenziando come queste abbiano portato all’elaborazione di studi specifici su tali comunità. Nel Settecento e nell’Ottocento, con la nascita della “ziganologia”, si sviluppano ricerche etnologiche e linguistiche che ne svelano l’origine indiana e ne analizzano costumi, lingua e tradizioni, superando gli stereotipi precedenti.

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Una famiglia rom in abiti tradizionali del XVII secolo davanti a una chiesa barocca italiana, con il simbolo della famiglia Barberini visibile sulla facciata. Alcuni membri si dirigono verso la chiesa, illuminati da un raggio di luce, mentre altri si allontanano nell'ombra, simbolo della divisione culturale e religiosa.

Luci e ombre dell’editto Barberini sull’assimilazione forzata degli zingari.

Benedetto Coccia

L’articolo analizza gli effetti dell’editto emanato dal Cardinale Francesco Barberini nel 1631, che trasformò la questione della presenza degli zingari nello Stato della Chiesa da problema di ordine pubblico a questione pastorale. Viene evidenziata l’intenzione di favorirne l’assimilazione attraverso iniziative missionarie simili a quelle già attuate per altre minoranze religiose. Tuttavia, non tutti i progetti ebbero successo, e i documenti processuali mostrano la resistenza di gruppi nomadi, in contrasto con i nuclei familiari urbani più inclini alla sedentarizzazione. Questa tensione tra nomadismo e sedentarietà, emersa già nel XVII secolo, caratterizza la complessità dell’integrazione degli zingari a Roma, un tema ancora rilevante oggi.

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Illustrazione storica di una famiglia rom in Italia del XVII secolo, circondata da figure religiose e ufficiali, con uno sfondo minimalista che richiama un paesaggio urbano rinascimentale italiano.

Dal rifiuto all’assimilazione forzata: gli zingari in Italia nel 1600.

Benedetto Coccia

Nel contesto dell’Italia del XVI e XVII secolo, le politiche nei confronti degli zingari mutarono radicalmente: dalle rigide disposizioni emesse da Papa Pio V nel 1566, che imponevano il divieto assoluto di ingresso e soggiorno e severe pene corporali, si passò gradualmente a una strategia di assimilazione forzata. Quest’ultima, sancita in modo definitivo dall’editto del 1631 del Cardinale Francesco Barberini, mirava a integrare gli zingari nella società cristiana, incoraggiandone l’abbandono dei costumi nomadi e l’assunzione di un “bene vivere” conforme ai dettami religiosi e sociali del tempo.

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Una donna rom con abiti tradizionali gitani, caratterizzati da motivi vivaci, una gonna fluente e uno scialle, al centro di una scena che rappresenta il cambiamento degli atteggiamenti verso i Rom in Italia. Sullo sfondo, una città medievale accogliente si contrappone a figure oppressive con simboli papali.

Gli zingari in Italia: dalla benevola accoglienza alla dura repressione

Benedetto Coccia

Nel XV secolo gli zingari giunsero in Italia presentandosi come pellegrini sedentari costretti a vagabondare. Inizialmente accolti con benevolenza, suscitarono progressivamente sospetti a causa di frodi, abusi e pratiche magiche, tanto che le autorità civili ed ecclesiastiche introdussero provvedimenti sempre più severi. Dal Legato pontificio a Bologna fino al Governatore di Roma nel 1552, la percezione della presenza zingara passò da ospitalità caritatevole a sorveglianza e repressione, sancendo il legame tra nomadismo e delinquenza.

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Ritratto di una famiglia rom nel XV secolo in Italia, con abiti tradizionali dettagliati, caratterizzati da motivi vivaci, tessuti a strati e influenze locali italiane. Sfondo minimalista con villaggio medievale e colline.

La presenza degli zingari in Italia tra 1400 e 1500

Benedetto Coccia

Nel XV secolo gli zingari giunsero in Italia presentandosi come pellegrini sedentari costretti a vagabondare. Inizialmente accolti con benevolenza, suscitarono progressivamente sospetti a causa di frodi, abusi e pratiche magiche, tanto che le autorità civili ed ecclesiastiche introdussero provvedimenti sempre più severi. Dal Legato pontificio a Bologna fino al Governatore di Roma nel 1552, la percezione della presenza zingara passò da ospitalità caritatevole a sorveglianza e repressione, sancendo il legame tra nomadismo e delinquenza.

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Illustrazione minimalista con due mani di tonalità di pelle diverse che si stringono in segno di solidarietà, circondate da motivi astratti colorati che rappresentano la diversità culturale in Italia, su uno sfondo neutro.

Le prime tracce della presenza degli zingari in Italia

Benedetto Coccia

L’articolo esamina la presenza degli zingari in Italia a partire dai primi decenni del Quattrocento, identificando tre fasi storiche: iniziale benevolenza e comprensione da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche, una successiva reazione repressiva fino all’inizio del Seicento, e infine nel XVII secolo un tentativo di assimilazione forzata. La prima apparizione degli zingari avvenne nello Stato della Chiesa, dove si presentavano come pellegrini penitenziali diretti a Roma, muniti di presunti salvacondotti reali e papali.

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Una scena urbana a Roma con una famiglia Rom in primo piano: un uomo suona la chitarra, una donna accudisce un bambino, mentre bambini di diverse etnie giocano insieme con un solo pallone. Sullo sfondo, uno scorcio di Roma con architettura storica.

Qualche notazione storica sulla presenza degli zingari a Roma

Benedetto Coccia

Il saggio di Benedetto Coccia esplora la presenza storica del popolo rom a Roma, risalente al 1500. Analizza le tensioni e i pregiudizi che persistono ancora oggi, sottolineando l’importanza dell’accettazione della diversità e dell’integrazione culturale. L’autore esamina le ragioni storiche della concentrazione dei rom nello Stato della Chiesa e discute l’approccio di Roma nei confronti di queste popolazioni, visto sia come problema di ordine pubblico che come opportunità di conversione religiosa. Infine, propone una riflessione sul futuro dell’integrazione rispettosa della diversità.

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Sala parlamentare decadente con sedie rotte, un ramo d’ulivo secco e libri sgretolati al centro. Verso lo spettatore corre una figura festante, con tratti clowneschi e un sorriso inquietante, in netto contrasto con l’ambiente decadente.

Competenza e rigore morale… questi sconosciuti. Una riflessione sulla nostra classe dirigente.

Benedetto Coccia

Partendo dall’esortazione di Benedetto XVI ai giovani sardi nel 2008, l’articolo riflette sull’inadeguatezza complessiva della classe dirigente italiana, evidenziando la mancanza di competenza e rigore morale. Se si fosse dato ascolto all’appello del Papa creando scuole di formazione politica serie e strutturate, oggi non ci troveremmo in questa situazione. L’autore sottolinea come questa debolezza della governance riguardi tutti gli ambiti del vivere sociale e non solo la politica. Competenza e rigore morale sono attualmente assenti, riflettendosi nella superficialità con cui vengono affrontati problemi complessi e nella difficoltà di immaginare una morale laica a cui i rappresentanti dovrebbero ispirarsi.

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Una poltrona governativa vuota ricoperta di ragnatele, con un cartello polveroso con la scritta "Bene Comune" appoggiato a terra accanto alla poltrona. Davanti c'è uno specchio che riflette il vuoto, il tutto disegnato con linee semplici e colori neutri.

La crisi della governance

Benedetto Coccia

L’articolo discute la mancanza di una vera governance in Italia, sottolineando come l’esortazione di Benedetto XVI nel 2008 per una nuova generazione di laici cristiani impegnati nella politica sia rimasta inascoltata. Critica l’attuale classe politica per l’egoismo e l’interesse personale che prevalgono sul bene comune e sulle istituzioni. Conclude affermando che, con una classe dirigente come quella attuale, la Costituzione repubblicana non sarebbe mai nata.

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Un'immagine surreale raffigurante un'enorme clessidra incrinata sospesa in aria, con sabbia che si trasforma in libri e idee, sullo sfondo una mappa astratta dell'Europa composta da catene spezzate e ingranaggi intrecciati, simbolo del dissenso e della libertà.

L’Europa nel pensiero degli intellettuali cechi del dissenso

Benedetto Coccia

L’articolo esplora il pensiero degli intellettuali cechi del dissenso, focalizzandosi su Václav Havel e Jan Patočka. Nonostante l’adesione della Cecoslovacchia all’Atto finale di Helsinki nel 1975, il regime di Gustáv Husák continuò a sopprimere le libertà fondamentali. Da questa repressione nacque Charta 77, un movimento che raccolse riflessioni sulla difesa dei diritti umani. Havel e Patočka criticarono la persistenza della sovranità nazionale e sottolinearono la necessità di un’Europa unita basata su valori autentici e universali.

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