L’Unione europea vive oggi forse il suo periodo più difficile: crisi di legittimazione, di funzionalità, di autorevolezza. Tutto questo non solo coincide ma è probabilmente causato dal decadimento dei meccanismi, dei luoghi e dei protagonisti della formazione delle classi dirigenti europee e da una sua autentica sostituzione da parte di quelle economiche. Ciò è avvenuto di pari passo con l’evoluzione delle istituzioni dell’Unione, irrompendo come la grande contraddizione rispetto a una costruzione che si voleva con originalità (ma anche per interesse) a legami deboli e a livelli multipli. Tale architettura ha permesso ai potentati finanziari di impadronirsi della nuova arena pubblica con gli strumenti delle lobbies e con le influenze sempre meno opache di poteri informali che divenivano e divengono rilevantissimi al momento delle scelte in tema di classe dirigente. Non ultima appare la considerazione sulla perdita di peso e di luoghi formali dei corpi intermedi, quali partiti, scuole di formazione politica e amministrativa che, accomunate nel discorso mediatico e pubblico un’etichetta di “vecchio”, sono ovunque superate per potenza e influenza da fondazioni e pensatoi che agiscono al servizio e per conto del grande capitale finanziario globale, vero e unico dominus della sfera pubblica delle istituzioni europee oggi. E i partiti? Che peso hanno nei processi decisionali europei? Ma soprattutto, potrà l’Unione europea affrontare le enormi sfide che le si prospettano “governata” da gruppi di pressione (o di interesse, come si preferisce dire a Bruxelles)?
Questa è la domanda, prevarranno cioè gli interessi dei grandi potentati economici o l’opinione pubblica, cioè gli interessi e il volere del popolo europeo (si perché dovremmo iniziare a considerarci un unico popolo…)? È difficile dire se i rappresentanti eletti nelle Istituzioni europee sappiano esattamente come la pensino coloro che rappresentano, ma in realtà è ancora più difficile dire se i cittadini europei sappiano esattamente chi sono i loro rappresentanti. Certo è che non ho mai sentito di incontri nei quali un parlamentare europeo aggiornasse e consultasse i propri elettori su questioni in discussione nell’Unione… E dunque torna prepotente il tema della mancanza di luoghi reali e legittimanti l’attività politico-rappresentativa e la quasi estraneità del popolo europeo alla vita politica dell’Unione. Bruxelles come nonluogo?