Se tradizionalmente le carovane di zingari transitavano e sostavano nella parte bassa del Rione Monti, la Suburra, dal XVI secolo si costituisce una comunità stanziale lungo l’attuale via degli Zingari. A differenza degli ebrei, che erano obbligati a risiedere nel Ghetto, la localizzazione degli zingari non era una scelta forzata, ma il frutto di uno spontaneo processo di insediamento. L’assegnazione di una specifica zona di residenza, pur se con intenti di reclusione, avrebbe d’altronde rappresentato una sorta di riconoscimento al diritto degli zingari a stabilirsi in città, riconoscimento che le autorità pontificie non concessero mai, nonostante una tolleranza di fatto.
Il raddoppio della popolazione romana nei primi venti anni dopo Porta Pia portò a un eccezionale sviluppo urbano, che non riuscì comunque a colmare il fabbisogno abitativo della Capitale dando luogo ai primi insediamenti di baracche in zona San Giovanni, Porta Maggiore, Ponte Nomentano, Trionfale, Stazione San Pietro, Acquedotto Felice, Porta Portese.
A questi agglomerati di baracche, prevalentemente abitati da immigrati di origine rurale, si andarono presto affiancando gli accampamenti degli zingari costretti a traslocare a causa della riorganizzazione urbanistica di Roma. La situazione degli zingari a Roma in questo periodo è bene illustrata nel celebre studio antropologico di Adriano Colucci Gli zingari. Storia di un popolo errante edito nel 1889.
Questo saggio sulla cultura e le forme di organizzazione sociale e economica degli zingari, ci trasmette un’immagine composita, atta a raccontare i vari aspetti della loro vita quotidiana, risultando di segno opposto rispetto alle descrizioni negative e stigmatizzanti che si erano tramandate nei secoli precedenti. Nel lavoro di Colucci si scorge, infatti, l’intenzione di comprendere la cultura zingara e di farla comprendere ai lettori esplicitando i valori che le erano sottesi e che da sempre avevano orientato le scelte di un modus vivendi radicalmente differente da quello dominante.












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