venerdì, Aprile 19 2024

Terminata l’onda lunga del boom economico, assistiamo alla netta contrazione nei flussi di mobilità interna che si verificò tra gli anni Sessanta, quando oltre 16,2 milioni di italiani trasferirono la propria residenza da un Comune all’altro, e il decennio seguente, quando tale numero scese a poco più di 13 milioni. Un calo senza dubbio significativo, anche se va tenuto conto che il dato degli anni Sessanta è in qualche misura “gonfiato” dalle regolarizzazioni di spostamenti precedenti avvenute a seguito dell’abrogazione, nel 1961, delle norme varate sotto il fascismo per contrastare l’urbanesimo che costrinsero in una condizione di irregolarità un numero imprecisato ma con ogni probabilità rilevante di migranti interni.

Con la fine degli anni Sessanta, dunque, si chiudeva la fase di maggiore intensità delle migrazioni interne, che avevano raggiunto il proprio culmine tra il 1955 e il 1963 (quindi negli anni del “miracolo economico” e in quelli immediatamente precedenti), subendo poi un rallentamento a metà del decennio in concomitanza con la “congiuntura” del 1964, ma riprendendo su larga scala negli anni 1967-1971 . Ciò detto, però, bisogna sottolineare che le migrazioni interne proseguirono a livello di massa anche negli anni Settanta (e oltre), con un andamento differente da quello dei flussi diretti verso l’estero, che proprio in quel decennio si ridussero in maniera talmente significativa da far parlare – se pur solo in senso figurato – di “fine dell’emigrazione” .

Oltre al calo nel volume complessivo degli spostamenti di popolazione sul territorio italiano registrato negli anni Settanta, dobbiamo sottolineare che in entrambi i decenni la grande maggioranza degli spostamenti avvenne all’interno della stessa ripartizione territoriale (in questo caso: Nord-Ovest; Nord-Est e Centro; Sud e Isole), indice di una preferenza per gli spostamenti non a lunghissimo raggio. Per quanto riguarda invece le migrazioni tra ripartizioni diverse, il flusso di gran lunga preponderante, nonostante una considerevole flessione negli anni Settanta,  rimase quello “classico” che muoveva dal Sud e dalle Isole – cioè da zone il cui ritardo economico e di sviluppo complessivo rispetto alle aree più avanzate del Paese restava ben lungi dall’essere colmato – alla volta delle regioni Nord-occidentali, sede del “triangolo industriale” con vertici a Torino, Milano e Genova.

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