domenica, Ottobre 5 2025

Rispetto alle rigide disposizioni contro gli zingari emanate nel 1566 da Papa Pio V per mano del suo Camerlengo, il Cardinale Vitello Vitelli con le quali si estendeva a tutto lo Stato della Chiesa il già esistente divieto d’ingresso e di soggiorno nella città di Roma, ma, soprattutto, si attribuivano alla violazione di tale ordine pene durissime da comminare “irremissibilmente” quali la pena della frusta, la prima volta, e in caso di renitenza all’espulsione “la pena della forca”, un primo timido, ma significativo, segnale di cambiamento rispetto a questa dura normativa, si scorgerà nelle deliberazioni del Concilio Provinciale di Ravenna del 1568, voluto dallo stesso Pio V, nelle quali, nella parte relativa agli zingari, si legge che la sanzione dell’esilio se gli zingari : “Non vivranno cristianamente”. Con tale pronunciamento inizia la terza fase dell’epoca moderna: quella dell’assimilazione forzata. Questa nuova linea di condotta, che tendeva a integrare gli zingari nella comunità cristiana, trovò definitiva e organica codificazione nell’editto emanato nel 1631 dal Cardinale Francesco Barberini, Soprintendente dello Stato della Chiesa di Urbano VIII, dal titolo Sopra la reduttione de’ zingari e zingare al bene vivere. Per bene vivere si intendeva lo spogliarsi di tutti gli usi e costumi della vita nomade, cancellando la propria identità al fine di integrarsi pienamente nella società. Finalità espressa chiaramente nell’editto che dava anche disposizioni per l’accoglienza di coloro che fossero riusciti ad abbandonare la propria origine gitana: “Quelli zingari che si ridurranno nella città ad esercitarsi cristianamente siano ben tollerati da tutti, come se non fossero per alcun tempo mai stati zingari, volendo che siano recuperati e s’abbino per homini di quella città, se in essa fossero nati e allevati”.

Con l’editto del 1631 la presenza degli zingari sul territorio dello Stato della Chiesa si trasforma da problema di ordine pubblico a problema pastorale, dando vita a una molteplicità di progetti missionari, specificatamente rivolti alle popolazioni gitane, analoghi a quelli elaborati per gli ebrei e i “moriscos”, anche se queste, a differenza delle prime, in realtà, non avevano un credo da abiurare avendo sempre di chiarato di essere buoni cristiani.

 

Previous

Echi del Passato: La Voce Silente di Villa Chigi

Next

Luci e ombre dell’editto Barberini sull’assimilazione forzata degli zingari.

Lascia un commento

Check Also