sabato, Aprile 27 2024

Una mattina d’autunno, il Terminillo era avvolto da una densa coltre di nebbia, quella sorta di nebbia che sembra cancellare i contorni del mondo, lasciando solo ombre sfumate e forme indistinte. Nel mio vagare solitario, la mia Canon R6 Mark II era l’unico collegamento con la realtà tangibile, la mia finestra su un mondo ora nascosto.

Il Residence “Il Villaggio” apparve all’improvviso, come un’isola nell’oceano di foschia. Un luogo che aveva visto innumerevoli inverni, ora silenzioso, si ergeva davanti a me, i suoi camini e la sua struttura spartana disegnavano una scena di quiete abbandonata. Mi fermai, contemplando come questo simbolo di vita montanara fosse cambiato, trasformato non solo dalla nebbia, ma anche dal tempo e dall’assenza delle persone.

Con la fotocamera in mano, mi concentravo, cercando di catturare non solo l’immagine, ma l’atmosfera del momento. Ho zoomato fino a 600mm con il mio obiettivo Sigma EF 150-600mm f/5-6.3 Sport DG OS HSM, lasciando che il mondo si restringesse fino a comprendere solo il Residence. Ho aumentato l’ISO a 5000, per sfidare la penombra che avvolgeva ogni cosa e per catturare ogni particolare nascosto nella nebbia. Un diaframma impostato a f/6.3 mi ha permesso di bilanciare la profondità di campo con la necessità di luce, e con un rapido scatto a 1/160 secondi, ho immortalato la scena.

La foto che ho scattato non era semplicemente un edificio tra gli alberi. Era una testimonianza di resistenza, una prova della capacità umana di costruire e di lasciare segni duraturi nel paesaggio. Il Residence “Il Villaggio”, con le sue linee semplici e funzionali, ora sembrava un monumento a un’epoca di vivacità ora svanita, un tempo in cui le sue stanze erano piene di risate e di calore.

Mentre la fotografia veniva impressa sulla scheda di memoria, sentivo di aver catturato qualcosa di più di una semplice immagine. Avevo fissato un momento di storia, un ricordo di comunità che era stato e che sarebbe potuto essere di nuovo. La fotografia, in bianco e nero, sembrava quasi un’antica fotografia ritrovata in una soffitta, carica di storie e di misteri.

Ora, guardando quella foto, posso quasi sentire il silenzio del Residence, interrotto solo dal sussurro del vento tra gli alberi. Il mio scatto è diventato un ponte tra il passato e il presente, una riflessione sul ciclo incessante di crescita, declino e, forse, rinascita. La nebbia, che in quel momento aveva isolato il Residence dal resto del mondo, in qualche modo lo aveva protetto, conservandolo come una capsula del tempo.

Questa fotografia del Residence “Il Villaggio” è più di un’immagine: è una storia, un dialogo silenzioso tra me e il mondo. E in quei 5000 ISO, f/6.3, e 1/160 di secondo, ho trovato un pezzo di eternità.

Previous

Il barcone sul Tevere

Next

Integrazione, unica via possibile

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Check Also