martedì, Aprile 16 2024

Le idee, le conoscenze e le competenze si sono sempre spostate da un Paese all’altro con le persone dando luogo a quelle che comunemente vengono definite migrazioni intellettuali o qualificate.

Il migrante qualificato è colui che ha acquisito una formazione specialistica di alto livello (scientifica, tecnica o pratica), ma anche chi questa formazione la sta acquisendo o perfezionando e decide di completare i propri studi in un Paese diverso dal proprio.

Potremmo allora dire che le migrazioni intellettuali o qualificate sono quelle che avvengono per “vendere” o “acquistare” conoscenza o competenze specifiche, che possono essere temporanee o definitive o che possono iniziare come temporanee e divenire definitive.

Queste migrazioni si sono svolte, nel tempo, all’interno dei più generali flussi migratori, condizionate quindi, prevalentemente, dai medesimi fattori che determinano gli altri tipi di migrazione.

Esistono però una serie di fattori peculiari che caratterizzano questo tipo di migrazioni: incapacità o impossibilità del sistema economico o produttivo del proprio Paese di valorizzare persone altamente qualificate, miglior retribuzione o opportunità professionali in altri Paesi, migliori possibilità di perfezionare i propri studi all’estero o l’impossibilità a rimanere nel proprio Paese per ragioni religiose o politiche.

Molti, nel corso della storia, i casi di migrazioni, forzate o volontarie, collettive o individuali, che hanno visto intellettuali, tecnici, professionisti, operai altamente specializzati lasciare la propria terra per cercar fortuna altrove.

Pensiamo alle migrazioni forzate conseguenza delle guerre di religione che dall’inizio del ‘500 avevano martoriato l’Europa. Le controversie religiose che avevano segnato, politicamente oltre che religiosamente, la prima metà del sedicesimo secolo, trovarono una conclusione, almeno  formale,  con la pace di Augusta (1555). L’ultimo atto formale dell’Imperatore Carlo V prima della sua abdicazione,  tendeva a dare stabilità e pace ai principati dell’Impero sulla base del principio Cuius regio eius religio secondo il quale la popolazione doveva aderire alla confessione, cattolica o riformata, professata dal Principe. Chi non si adeguò a questo principio fu costretto a migrare in un altro territorio.

Pensiamo poi alla cacciata dei moriscos agli inizi del ‘600, oltre trecentomila mussulmani convertiti coattivamente al cristianesimo, ma sospettati di essere rimasti segretamente fedeli alla religione originaria, vennero espulsi tra il 1609 e il 1614 dalla Penisola Iberica per volontà di Filippo III. I moriscos, per quanto estromessi dalle corporazioni cristiane, erano valenti artigiani, primeggiavano nell’edilizia, nell’agricoltura, nel commercio ed erano stimati medici. Non potendo accedere all’aristocrazia o alle carriere militari, i moriscos erano impegnati nel sistema produttivo e, in presenza di una struttura sociale rigidamente nobiliare, la manifattura, l’artigianato e l’imprenditoria commerciale rappresentavano certamente i più significativi elementi di sviluppo economico delle società dell’epoca.

Le conseguenze economiche e sociali di questa espulsione durarono anni in particolare nei Regni di Valencia, dal quale un terzo della popolazione fu espulsa, e di Aragona, un sesto della popolazione, che vissero un lungo periodo recessivo a causa di questo allontanamento forzoso delle energie più tecnicamente qualificate e produttive della società.

Abbiamo riportato questi due esempi macroscopici, ma molti altri se ne potrebbero fare, perché, come già accennato, le migrazioni altamente qualificate spesso hanno rappresentato una parte di più ampi flussi migratori.

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