sabato, Aprile 27 2024

L’Italia, da sempre Paese di emigrazione, ha conosciuto in diverse fasi della propria storia, significative migrazioni interne, sia all’interno della stessa ripartizione territoriale (stessa regione o regione adiacente), sia in ripartizioni diverse, generalmente dal Sud verso il Nord del Paese. In questo breve saggio cercheremo di ricostruirei percorsi che queste migrazioni hanno seguito durante il fascismo, cercando di comprendere le ragioni profonde che hanno spinto intere generazioni a lasciare la propria terra, spezzando definitivamente legami ancestrali, in cerca di un futuro, oltre che di un presente, migliore. Analizzeremo i provvedimenti contro l’urbanizzazione voluti dal fascismo, utili per comprenderne le conseguenze nella vita della società della giovane Italia repubblicana. Cercheremo, insomma, di capire quali conseguenze abbia portato nella storia, anche recente, del nostro Paese la “grande migrazione interna”.

Fuori dalle città! La legge del 1929 contro l’urbanesimo.

Alcuni dati statistici concernenti il movimento della popolazione nelle principali città del Regno meritano il più attento esame, perché conducono a conclusioni nettamente antiurbanistiche, soprattutto dal punto di vista del problema della casa, insolubile problema finché non sarà adottata questa formula: impedire l’immigrazione nelle città, sfollare spietatamente le medesime.

[….] La parola d’ordine che va diretta a tutte indistintamente le gerarchie del regime, dalle centrali alle periferiche […] è questa: facilitare con ogni mezzo e anche, se necessario, con mezzi coercitivi, l’esodo dai centri urbani; difficoltare con ogni mezzo e anche, se necessario, con mezzi coercitivi, l’abbandono delle campagne; osteggiare con ogni mezzo l’immigrazione a ondate nelle città. (Benito Mussolini, Cifre e deduzioni. Sfollare le città. «Il Popolo d’Italia», n. 27 del 22 novembre 1928)

Così Mussolini annunciava, nel novembre del 1928, dalle colonne del Popolo d’Italia, la Legge n. 2961, del 24 dicembre dello stesso anno, per il “Conferimento al prefetto della facoltà di emanare ordinanze obbligatorie allo scopo di limitare l’eccessivo aumento della popolazione residente nelle città”.

In realtà, questo provvedimento si inseriva in una più ampia azione di lotta all’urbanizzazione annunciata da Mussolini nel discorso alla Camera il 26 maggio dell’anno precedente. Il ragionamento mussoliniano era naturalmente più articolato e partiva da considerazioni di tipo demografico. La grandezza di un popolo, nella visione mussoliniana, era strettamente legata alla sua potenza demografica e questo tema, il mito del ruralismo e la ferma convinzione che “C’è un tipo di urbanesimo che è distruttivo, che isterilisce il popolo, ed è l’urbanesimo industriale”[1], costituirono i presupposti della lotta contro l’urbanizzazione.

Dunque, la lotta all’urbanesimo si affiancava al lancio della campagna demografica, e di questa l’antiurbanesimo rappresentava un aspetto complementare e per certi versi supplementare, diciamo una sorta di effetto collaterale (B. Mussolini, Discorso alla Camera, 26 maggio 1927).

Di fatto, la legge del 1928 non conteneva altro che una mera esortazione ai Prefetti “allo scopo di limitare l’eccessivo aumento della popolazione residente nelle città” ( Legge n. 2961, del 24 dicembre 1928). Occorrerà, infatti, attendere i “Provvedimenti contro l’urbanesimo” del luglio 1939 (Legge 1092 del 6 luglio 1939, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9 agosto 1939) perché questa vaga enunciazione di principio divenisse realmente vincolante.

La legge 1092 del 6 luglio 1939 prevedeva, infatti, il divieto a chiunque di trasferirsi

in Comuni Capoluoghi di Provincia, o in altri Comuni con popolazione superiore a 25.000 abitanti, o in comuni di notevole importanza industriale, anche con popolazione inferiore se non dimostri di esservi obbligato dalla carica, dall’impiego, dalla professione o di essersi assicurata una proficua occupazione stabile nel Comune di immigrazione o di essere stato indotto da altri giustificati motivi, sempre che siano assicurati preventivamente adeguati mezzi di sussistenza.

Naturalmente le vicende belliche cambiarono profondamente gli scenari, rendendo tali provvedimenti difficilmente attuabili, anche a causa delle mutate esigenze della produzione industriale bellica; tuttavia, tale legge, come vedremo in seguito, rimase in vigore fino al 1961.

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