A ciascuno di noi sarà capitato di dover fare un viaggio in treno o in aereo oppure di trovarsi a cenare in un ristorante in compagnia di bambini molesti.
A me è capitato di recente. Un viaggio da Verona a Roma in treno, sei bambini veramente molesti, rumorosi, chiassosi.
I loro genitori impegnati a essere rumorosi, chiassosi e sguaiati anche loro. Interviene la bigliettaia riferendo ai genitori (tre coppie) le lamentele di alcuni passeggeri.
La risposta: “sono bambini, i viaggiatori si mettessero i tappi!”. Dopo poco interviene la Capotreno, che coraggiosamente affronta i piccoli, chiedendo cortesemente loro di abbassare il tono della voce perché non riusciva a dialogare con gli altri viaggiatori.
A questo punto, il padre di uno di questi “piccoli” aggredisce la coraggiosa Capotreno, dicendole, in un italiano stentato, che non avrebbe dovuto permettersi di parlare “vicino” ai bambini, perché si stava rischiando di “impressionarli”.
L’episodio, per quanto sgradevole, potrebbe ritenersi isolato, frutto di quel degrado umano e morale che affligge ancora vaste aree del Paese. In effetti, anche gli adulti di quel bel gruppo, quando rumorosamente interagivano tra di loro, lo facevano mediante versi difficilmente decifrabili e nemmeno lontanamente riferibili alla lingua italiana.
Eppure, erano italiani!
Eppure, erano adornati con orpelli griffati, naturalmente falsi, ma che comunque li collocavano non esattamente in una posizione economicamente disagiata.
Ebbene, non è così. non è un fenomeno ascrivibile a determinate aree atavicamente affette da sottosviluppo, bensì un fenomeno diffuso che non conosce latitudine o longitudine.
Sembra piuttosto essere uno degli elementi caratteristici di questa epoca.
Attenzione, non si tratta di mala educazione; i maleducati ci sono sempre stati, sono tra noi e sempre ci saranno.
Si tratta proprio di ineducazione, di rinuncia a proporre un modello educativo o, in alternativa, la proposta di un modello educativo che non proponga regole.
Le cause? Molteplici: la oggettiva mancanza di tempo di entrambi i genitori a svolgere la difficile e a volte misteriosa arte dell’educazione, l’individualismo imperante, secondo il quale ciò che va bene a me deve andar bene anche agli altri e se così non è … si arrangino … e tante altre.
Ma l’impressione è che prevalga la seconda ipotesi, la proposta di un modello di educazione che abbia come priorità assoluta la piena realizzazione del bambino, intendendo ogni regola come un ostacolo se non un vero e proprio elemento ostativo a tale piena realizzazione.
Ecco che allora dal vocabolario degli educatori, non solo dei genitori, è obliata la parola “no”, ritenuta troppo dura e mortificante per la prorompente vitalità e genialità (sì, perché tra l’altro sono considerati tutti geni!) dei giovani virgulti.
Certo, pone forti dubbi un futuro, ma come vediamo già un presente, popolato da una generazione che non conosce il no. E come reagiscono questi figli del sì a ogni costo davanti a una insufficienza scolastica?
A una mancata promozione o assunzione lavorativa?
Al no di una ragazza/o corteggiata/o e di fronte a una relazione finita?
Le risposte le vediamo già quotidianamente nei fatti di cronaca.
Per quanto riguarda la soluzione, invece, non potrà certo essere trovata dalle generazioni passate, forse meno intelligenti della presente ma almeno dotate di un corredo di regole che ne ha indirizzato il cammino.