«Senza lavoro non c’è dignità. Lo ripeto spesso. Ma non tutti i lavori sono “lavori degni”. Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone […] Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono». (Papa Francesco, Cagliari, 26 ottobre 2017).
Questa dura affermazione di Papa Francesco ci sembra fotografi bene la condizione che molti lavoratori attualmente vivono.
Nel nostro Paese è da sempre fortemente divisivo. Protagonista indiscusso delle campagne elettorali, presente nei programmi di tutte le parti politiche, il lavoro, in particolare quello giovanile e femminile, sembra essere la priorità assoluta di ogni schieramento e di ogni candidato. Eppure il lavoro in Italia è tra i peggio pagati e meno garantiti d’Europa, per non parlare delle morti sul lavoro per commentare le quali non si trovano più parole adeguate.
L’annosa consacrazione alla flessibilità delle politiche del lavoro incidono sui destini lavorativi e personali di chi deve confrontarsi con un modo del lavoro tutt’altro che flessibile. L’impressione è, infatti, che una legislazione improntata alla flessibilità nel contesto del mondo del lavoro italiano, legato ad un modello produttivo estremamente statico, non premiante e gestito da una classe dirigente vecchia e ancorata ad un contesto economico non più attuale, rischi inevitabilmente di trasformare il lavoro in precariato, sfruttamento, lavoro in nero.