martedì, Aprile 23 2024

Ero sempre stato affascinato dalle tracce dell’umanità lasciate a marcire sotto il peso del tempo. Quel giorno d’autunno, il 17 novembre, il mio drone ronzava sopra ciò che un tempo era stato un edificio pulsante di vita, ora un guscio vuoto e consumato dalla natura. Io, Gabriele, con il controllo in mano e gli occhi fissi sullo schermo, cercavo di catturare la bellezza decadente di questo luogo dimenticato.

Le foglie morte raccontavano storie di un passato effervescente, ora sommerso da un silenzio soffocante. L’architettura, ancora maestosa nella sua desolazione, era un labirinto di stanze vuote e corridoi che una volta risuonavano di passi e voci. Mentre il sole calava, le ombre si allungavano, avvolgendo il tutto in un abbraccio malinconico.

I metadati della foto che scattai quella sera sarebbero apparsi semplici a un occhio inesperto: un’apertura di f/5.6, giusta per catturare la nitidezza dei dettagli consumati dai muschi e dalle erbacce; una velocità dell’otturatore di 1/120 di secondo, per fermare il delicato equilibrio tra luce e ombra; un ISO di 100, per preservare la purezza dei colori autunnali che dipingevano il paesaggio. La lunghezza focale era di 24 mm, offrendo una vista ampia che abbracciava l’intero scenario.

Mentre il drone scendeva lentamente, riprendendo l’ascesa per un ultimo sguardo, riflettevo sulla transitorietà di tutte le cose. Le strutture che erigiamo, sia fisiche che metaforiche, possono essere solide come la roccia, ma alla fine, la natura reclama sempre ciò che è suo.

Guardando la foto finita, non potevo fare a meno di pensare alle storie non raccontate, ai ricordi impregnati in quelle pareti che la natura aveva lentamente rivendicato. Era come se ogni crepa e ogni pezzo di muschio fosse un segno, un simbolo di resistenza contro l’inevitabile dimenticanza.

Il titolo di questa foto? “Eco di Memorie” – un tributo a tutto ciò che è stato e a ciò che rimarrà, anche quando noi non ci saremo più. Era una testimonianza dell’impermanenza, un promemoria che in mezzo all’abbandono e al declino, c’è una bellezza silenziosa e dignitosa che merita di essere vista e ricordata.

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