Abbiamo già avuto modo di constatare come l’inadeguatezza complessiva della classe dirigente appaia sempre più come il problema che da anni affligge il nostro Paese e, magra consolazione, gran parte dei Paesi occidentali.
Ci siamo resi conto che gli “imputabili” di questa crisi delle élite globale non vanno cercati nominalmente, seppure fosse possibile, ma dentro una visione più ampia dove ciò che conta è trovare la rete o il flusso di interessi che spingono verso questa deriva che potremmo definire “deresponsabilizzante”.
Abbiamo abbozzato una riflessione sui luoghi dove avvenivano e avvengono la formazione e la selezione delle classi dirigenti, ovvero le vecchie sedi di partito ma anche le “popolari” primarie, i pensatoi (i cosiddetti think-tank), le lobbies e, perché no, la rete. Abbiamo preso atto del mutamento del campo di decisione e di contesa politica – e dello spaesamento che ne consegue – abbiamo censito quei luoghi di passaggio che nel frattempo stanno cambiando, se non perdendo del tutto, i connotati storici, politici e culturali tradizionali che nel passato li avevano contraddistinti. Eppure non abbiamo trovato tutte le risposte che cercavamo. E nemmeno ci viene in soccorso il quesito posto a fondamento della riflessione teorico-politica di Platone “come individuare i migliori” che pure ha tanto fortemente condizionato il pensiero politico e la stessa vicenda storica occidentale. In realtà questo interrogativo ha progressivamente perso di senso con il comparire sulla scena politica del concetto di rappresentatività e, alla fine con la scelta della piena democrazia come faro a guida dei popoli. Chi ci governa deve essere rappresentativo della comunità che lo ha scelto e non necessariamente “il migliore”. Tra il serio e il faceto ci verrebbe però da dire, va be’, non necessariamente il migliore ma neanche il peggiore…. Perché questa è l’impressione che si ha guardando le classi dirigenti, anche apicali, dei nostri Paesi: chi ci rappresenta è molto peggio della popolazione che lo ha eletto. E dunque come conciliare il sacrosanto principio democratico della rappresentanza con quello della “qualità” dei rappresentanti? E, sembra importante sottolinearlo, non si tratta solo della competenza o professionalità, ma della qualità umana, civile e morale (non in senso moralistico!) della nostra classe dirigente.
Abbiamo già avuto modo di constatare come l’inadeguatezza complessiva della classe dirigente appaia sempre più come il problema che da anni affligge il nostro Paese e, magra consolazione, gran parte dei Paesi occidentali.
Ci siamo resi conto che gli “imputabili” di questa crisi delle élite globale non vanno cercati nominalmente, seppure fosse possibile, ma dentro una visione più ampia dove ciò che conta è trovare la rete o il flusso di interessi che spingono verso questa deriva che potremmo definire “deresponsabilizzante”.
Abbiamo abbozzato una riflessione sui luoghi dove avvenivano e avvengono la formazione e la selezione delle classi dirigenti, ovvero le vecchie sedi di partito ma anche le “popolari” primarie, i pensatoi (i cosiddetti think-tank), le lobbies e, perché no, la rete. Abbiamo preso atto del mutamento del campo di decisione e di contesa politica – e dello spaesamento che ne consegue – abbiamo censito quei luoghi di passaggio che nel frattempo stanno cambiando, se non perdendo del tutto, i connotati storici, politici e culturali tradizionali che nel passato li avevano contraddistinti. Eppure non abbiamo trovato tutte le risposte che cercavamo. E nemmeno ci viene in soccorso il quesito posto a fondamento della riflessione teorico-politica di Platone “come individuare i migliori” che pure ha tanto fortemente condizionato il pensiero politico e la stessa vicenda storica occidentale. In realtà questo interrogativo ha progressivamente perso di senso con il comparire sulla scena politica del concetto di rappresentatività e, alla fine con la scelta della piena democrazia come faro a guida dei popoli. Chi ci governa deve essere rappresentativo della comunità che lo ha scelto e non necessariamente “il migliore”. Tra il serio e il faceto ci verrebbe però da dire, va be’, non necessariamente il migliore ma neanche il peggiore…. Perché questa è l’impressione che si ha guardando le classi dirigenti, anche apicali, dei nostri Paesi: chi ci rappresenta è molto peggio della popolazione che lo ha eletto. E dunque come conciliare il sacrosanto principio democratico della rappresentanza con quello della “qualità” dei rappresentanti? E, sembra importante sottolinearlo, non si tratta solo della competenza o professionalità, ma della qualità umana, civile e morale (non in senso moralistico!) della nostra classe dirigente.












