sabato, Ottobre 4 2025

I dati confermano un processo di inserimento improrogabile dei romeni in Italia, che parte dal basso e che prende piede nonostante la precarietà della presenza e del posto di lavoro e i rischi di discriminazione ed emarginazione, così come è avvenuto per gli albanesi nei primi anni ’90. Si tratta di un percorso migratorio fondato sulle famiglie, che si formano o si ricompongono sempre più spesso nel nostro Paese.

Una parte importante della comunità, grazie anche ai grandi sacrifici sopportati, si sente inclusa e pienamente accettata nella società italiana; il legame creatosi nel tempo ha reso l’Italia quasi una seconda patria, sentimento che è evidente soprattutto tra i giovani, per i quali è sostanzialmente impossibile definirsi interamente romeni o italiani. La complessità identitaria delle seconde generazioni, il sentirsi “mezzo e mezzo” nutrendosi e aprendosi a due radici socio-culturali, rappresenta un valore aggiunto nella odierna società globalizzata, nella quale il loro futuro difficilmente si giocherà solo in un orizzonte ristretto tra Italia e Romania.

La pandemia da Coronavirus, producendo un peggioramento delle condizioni lavorative ed economiche e limitando significativamente l’esercizio della libera circolazione, sembra aver favorito nell’immediato un’ondata temporanea di ritorni, soprattutto da parte dei lavoratori più precari e di quelli stagionali. Tuttavia, solo nel medio-lungo periodo si potrà valutare l’impatto che essa avrà avuto sulla mobilità dei cittadini romeni e sulla sostenibilità dei loro attuali ritorni.

Per la maggioranza che, invece, ha fatto fronte alla pandemia rimanendo in Italia, un’indagine realizzata dall’associazione “Cuore romeno” di Oristano con fondi del Dipartimento dei Romeni all’estero, mostra per i romeni una relativa stabilità lavorativa anche durante il lockdown (9 marzo-18 maggio 2020). Pur nelle incertezze rispetto ai sostegni governativi, i lavoratori romeni hanno fatto ricorso ai risparmi (55%), il 15% ha visto un peggioramento delle proprie condizioni lavorative e il 22% ha ammesso la difficoltà di soddisfare le richieste di chi è rimasto a casa. Una piccola quota ha addirittura trovato un nuovo posto di lavoro (7%).

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